Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 17 febbraio 2007 Dopo una intensa settimana di lavoro parlamentare – che mi ha visto impegnato a pieno tempo per la legge di riforma dei servizi di informazione e sul segreto di Stato, per la legge di istituzione anche in Italia di una Commissione per i diritti umani e per la tutela delle persone private della libertà personale, nel dibattito col Ministro dell’interno Amato sul rinascente terrorismo e nel “question time” col vice-Presidente del consiglio Rutelli sul “caso Abu Omar” – trovo il tempo di riprendere il confronto con Gianni Kessler sulla questione del referendum ipotizzato in materia elettorale (cfr. “l’Adige” dell’11, 12 e 13 febbraio scorsi). Per rispetto nei confronti dei lettori, e perché questo utile dibattito non sia limitato esclusivamente ad aspetti tecnico-giuridici per soli “addetti ai lavori”, trattandosi in realtà di problemi di grande portata politica che possono interessare non solo le forze politiche ma anche tutti i cittadini, riassumo per punti i vari aspetti della questione. 1. Legge elettorale nazionale. A differenza della legge elettorale provinciale del Trentino, che è stata esaminata e approvata dopo la riforma parlamentare dello Statuto del 2001 e dopo un amplissimo confronto consiliare, la nuova legge elettorale nazionale fu imposta improvvisamente nell’autunno 2005 (a pochi mesi dalle elezioni politiche dell’aprile 2006) con un colpo di mano da parte dell’allora maggioranza di centro-destra. Con due emendamenti (e relativi sub-emendamenti) fu improvvisamente cancellata in un colpo solo la legge elettorale prevalentemente maggioritaria, che aveva dato vita al bipolarismo e alla democrazia dell’alternanza (dopo mezzo secolo di “democrazia bloccata”) a seguito del grande referendum popolare del 18 aprile 1993, che aveva visto prevalere i “SI” con oltre l’80 per cento dei votanti, nel pieno della crisi del vecchio sistema dei partiti. Quel colpo di mano unilaterale del centro-destra ha dunque spazzato via sia la volontà popolare vastissima del 1993, sia un sistema elettorale (il c.d. “Mattarellum”, per usare la definizione del politologo Giovanni Sartori) che, attraverso i collegi uninominali, aveva garantito un più diretto rapporto tra cittadini ed eletti e fatto prevalere la logica delle coalizioni alternative rispetto all’identità dei singoli partiti. 2. Referendum elettorale nazionale. Gli effetti della legge elettorale nazionale imposta unilateralmente dal centro-destra sono stati devastanti per il già fragile sistema politico italiano, come possiamo verificare tutti i giorni (“ci hanno avvelenato i pozzi”, disse giustamente Romano Prodi all’epoca delle primarie) e per di più, fortunatamente, quel colpo di mano non è riuscito ad ottenere la vittoria elettorale del centro-destra (ma al Senato la situazione è in bilico permanente), che era l’obiettivo principale, anzi esclusivo, di quella maldestra operazione. A posteriori, l’allora Ministro delle riforme Calderoli, che pure ne fu il principale (non unico) responsabile, definì letteralmente la nuova legge elettorale “una porcata”. E poiché, a differenza di Berlusconi, ebbe poi l’onestà intellettuale di ammettere la sconfitta elettorale, aggiunse qualche giorno dopo: “una porcata riuscita male”. Da questa drammatica situazione è nata l’idea, su iniziativa del costituzionalista Giovanni Guzzetta (che ha insegnato per anni anche a Trento), di promuovere nuovi referendum elettorali, nella piena consapevolezza tuttavia che i quesiti relativi (se dovessero prevalere) darebbero comunque un risultato insoddisfacente e inadeguato, anche se sicuramente migliore dell’attuale legge. È questo il motivo per cui, personalmente, sono andato a firmare, come membro del Comitato referendario, il deposito dei quesiti in Cassazione e sono entrato a far parte del Comitato esecutivo nazionale (senza i ripensamenti postumi di qualche esponente dell’Ulivo, Bassanini in testa, e di qualche altro esponente del centro-destra). Ma, al tempo stesso, essendo parlamentare, ho anche presentato una proposta di legge che abroga totalmente la “porcata” di Calderoli e fa tornare interamente in vigore la precedente legge maggioritaria, alla quale si potranno poi apportare limitate correzioni (ad es., l’abolizione dello “scorporo” che ha dato luogo al fenomeno perverso delle “liste civetta”: vi ricordate?). 3. Referendum elettorale provinciale. Nelle riunioni del Comitato referendario nazionale a cui ho partecipato a Roma si è esplicitamente esclusa qualunque ipotesi di affiancare al referendum nazionale altre iniziative (proposte da qualcuno) di qualunque altra natura, proprio per evitare di “inquinare” l’obiettivo esclusivo e “bipartisan” di arrivare, o per via referendaria o come stimolo e pressione sul Parlamento, alla radicale modifica della legge elettorale nazionale. Per questo primo motivo ho obiettato a Gianni Kessler che non sarebbe in alcun modo accettabile – ammesso che si potesse farlo, ma giuridicamente non si può – affiancare al referendum nazionale un referendum provinciale, di cui del resto quasi nessuno sente il bisogno. Infatti, per il Trentino da pochi anni (nel 2001) – con una legge costituzionale che portava la mia prima firma, ma condivisa a larga maggioranza dal Parlamento (solo Gubert e pochi altri si opposero, ma non riuscirono a raccogliere le firme per un referendum oppositivo) – è stato riformato lo Statuto, attribuendo alla Provincia (e non più alla Regione) il potere di modificare la propria forma di governo e la propria legge elettorale. In forza del nuovo articolo 47 dello stesso statuto, la legge elettorale e sulla forma di governo è una legge “rinforzata”, che può essere approvata solo a maggioranza assoluta dei componenti. È questo il motivo per cui può essere sottoposta a referendum oppositivo, come per le leggi costituzionali ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, solo entro tre mesi dalla sua approvazione. Ed è anche questo il motivo conseguente per cui la successiva legge provinciale sui referendum (n. 3 del 2003) ha escluso (art. 18, comma 2) la possibilità di sottoporre successivamente a referendum abrogativo la legge provinciale elettorale e sulla forma di governo. 4. Referendum provinciale perché? Di tutto questo, e me ne dispiace per un giurista, Gianni Kessler non si era reso minimamente conto e, quindi, nella sua risposta su “l’Adige” del 13 febbraio arriva a ipotizzare (come se si trattasse di un gioco di società) un referendum... sulla legge sui referendum per poi, se questo mai fosse ammissibile e vincesse, fare un altro referendum sulla legge elettorale! Mi pare che, in parole semplici e comprensibili a tutti, questo si chiami arrampicarsi sugli specchi. Anche perché sarebbe del tutto prevedibile che il primo referendum sarebbe dichiarato non ammissibile (ai sensi dell’art. 18, commi 7, 8 e 9) trattandosi, in materia di legge elettorale e di forma di governo, di una legge “rinforzata”, per la quale è appunto ammissibile solo il referendum oppositivo previsto entro tre mesi (e ora sono passati quasi quattro anni!) dal nuovo art. 47 dello Statuto. 5. Epilogo. Secondo Giovanni Kessler, un po’ stizzito dal dover prendere atto di aver sbagliato tutto in materia, “il problema non è lo Statuto, ma quella classe politica trentina che non vuole modificare nulla dei meccanismi che garantiscono a Trento l’attuale gestione del potere”. Forse si è distratto: i cambiamenti istituzionali più radicali sono già avvenuti con la riforma dello Statuto del 2001 e con la nuova legge elettorale provinciale del 2003, che stanno garantendo governabilità, rappresentatività, stabilità e possibile alternanza. Ci siamo dimenticati che dal 1993 al 1998 Carlo Andreotti governò presiedendo tre Giunte diverse con tre maggioranze diverse? Tutto il resto, ed è molto, attiene alla politica, alla buona e cattiva politica (su cui “l’Adige” ha aperto un dibattito che dura da settimane). Ma il referendum vanamente sognato da Gianni Kessler con questo, con la politica appunto, non c’entra assolutamente nulla. Marco Boato
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MARCO BOATO |
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